Danza futurista

Nel Manifesto della danza futurista, Marinetti auspica un potenziamento ginnico mediante l'imitazione di movimenti meccanici che avrebbero portato al conseguimento dell'ideale di un “corpo moltiplicato”. Il ballerino deve infatti «fare una corte assidua ai volanti, alle ruote, agli stantuffi; preparare così la fusione dell'uomo con la macchina, giungere al metallismo della danza futurista». Nelle tre partiture coreografiche pubblicate con il manifesto: Danza dello shrapnel, Danza della mitragliatrice, Danza dell’aviatrice, Marinetti impronta le movenze ai meccanismi di guerra. La danza futurista prende a modello il «massimo rendimento di audacia, d'istinto, di resistenza muscolare» esemplificato dalla guerra. Secondo le indicazioni di Marinetti la danzatrice deve emulare le traiettorie paraboliche delle pallottole lanciate dagli shrapnels e «con le vibrazioni di tutto il corpo, le ondulazioni delle anche e i movimenti natatori delle braccia» rendere «le ondate e il flusso e riflusso e i moti concentrici degli echi nei golfi, nelle rade e sui pendii delle montagne». Naturale complemento della danza, che è uno spettacolo sintetico come ogni manifestazione di teatro futurista, è la musica dell'orchestra degli intonarumori di Russolo. Ma anche la danzatrice marca con i piedi il tum-tum del proiettile che esce dal cannone e, battendo le dita ornate di lunghissimi ditali metallici, fa sentire l'esplosione «argentea fiera e beata dello shrapnel» con un paaaak. Oltre a eseguire accordi onomatopeici con i gesti, dà inoltre accenni di scenografia accumulando molte stoffe verdi per simulare una montagna che scavalca con un salto (Danza della mitragliatrice). L'uso di cartelli ironici, issati dalla stessa interprete durante il succedersi delle azioni danzate, contribuisce all'allegria e alla spensieratezza della rappresentazione, perché la guerra, con le sue grandiose detonazioni e la fantastica «via lattea di stelle shrapnels», è per Marinetti una guerra senza la morte, una festa, un gioco suggeritore di ogni audacia possibile. Con sussulti e ondeggiamenti del corpo la danzatrice della terza coreografia marinettiana simula i tentativi di un aereo di sollevarsi da terra. Affissa al petto, un'elica di celluloide vibra a ogni sobbalzo, simbolizzando un rapporto simbiotico fra uomo e macchina (Danza dell’aviatrice).    





Deplero:

In Depero nelle scene e costumi commissionatigli da Djagilev nel 1917 per il balletto Canto dell’usignolo, si avverte l'intento di ridurre la persona umana a semplice forza motrice di costumi-corazza, ispirati alle forme della vita moderna. All'architettura floreale geometrizzata, fluorescente, acuminata, l'artista fa corrispondere costumi fortemente colorati e rigidamente stilizzati. Il corpo finisce per scomparire sotto involucri cilindrici, quadrati, triangolari che ricoprono braccia, teste e mani. Tali elementi costrittori (che fanno pensare ai costumi dada del Cabaret Voltaire) finiscono per condizionare le figure di danza, provocando effetti sorprendenti. Leonid Mjasin, a Roma per il debutto dei balletti di Djagilev al Teatro Costanzi nell'aprile 1917, prova a danzare avvolto in queste forme concave e convesse, costruite con fil di ferro e tele smaltate. Davanti allo specchio dello studio di Depero nota risultati sorprendenti che fanno pensare ai movimenti semplificati di un automa inventato. Lo spettacolo non va in porto, tuttavia Mjasin utilizza gli esperimenti fatti con il pittore nella coreografia di Parade. L'influenza ricevuta dal futurismo italiano è riconosciuta dal ballerino nell'autobiografia My life in ballet (La mia vita nel balletto).
Loie Fuller:
Originale danzatrice e abile coreografa, Loie Fuller attraversò agli inizi del Novecento i palchi dei teatri d'Europa e Stati Uniti, ma fu anche sovente d'ispirazione per gli artisti Art Nouveau che la ritrassero e ai quali fu, successivamente, accostata dalla critica. Le chiavi del suo successo furono estemporanee creazioni dipinte con la danza nello spazio della scenza teatrale: infinita gamma di fiori e farfalle vorticanti nell'aria, create attraverso il movimento repentino del corpo, avvolto in leggeri veli di seta. Sfruttando, le proprie conoscenze di illuminotecnica maturate nel corso degli anni e avvalendosi, nondimeno, di quel gusto dell’improvvisazione e dell’estemporaneità dello spettacolo che condivideva con i piccoli artisti di palcoscenico, nel 1890 la piccola Loie iniziò ad esibirsi in danze caratterizzate da ampi veli di seta che avvolgevano il suo corpo e che erano, a loro volta, colorati da riflettori puntati sulla scena: uno spettacolo che andò via via perfezionandosi in forme più complessse, fino al suggestivo spettacolo “Le Feu” (”Il Fuoco”), dove apparve al pubblico avvolta nell’oscurità, dipinta con colori fluorescenti ed illuminata dal basso attraverso lastre di vetro trasperenti.
Il segreto della
Fuller consistette, più che nell’abilità di ballerina vera e propria, nel far muovere bacchette invisibili sotto gli ampi drappeggi che l’avvolgevano e nel mutare continuo della luce proiettata sulle forme impresse al suo corpo dal movimento dei veli, ottenendo, così, una ricchissima serie di forme e colori cangianti. 

  
Anna Zamboni:
Ispirandosi a Loïe Fuller, la danzatrice elogiata da Marinetti, Anna Zamboni propone una coreografia basata su posizioni disarmoniche del corpo, sul contrasto, sull’opposizione e sull’inusualità. I colori dominanti saranno violenti e contrastanti. Utilizzando dei cerchi di metallo, la danzatrice costruirà figure geometriche che richiamano le “ballerine” di Fortunato Depero e i costumi di André Derain. Grazie a leggerissimi veli, le forme geometriche del corpo verranno contaminate dalla dimensione dinamica della velocità, elemento caratterizzante del Futurismo.
Colonna sonora della performance saranno “I pupazzetti” di Alfredo Casella, grande compositore, direttore e critico musicale attivo nella seconda metà del Novecento. Si tratta di cinque pezzi di musica atonale per quattro mani, ideati nel 1918 per i “Balli plastici” di Depero.
La danza ha affascinato esponenti di primo piano del Futurismo, come Depero e Marinetti, che nel 1917 redige il “Manifesto della danza futurista”. Slegata dai canoni dell’estetica tradizionale, la danza futurista rifiuta l’armonia e la simmetria del gusto classico. Il corpo è colto in posizioni inusuali, disarmoniche, giocando sull’opposizione e sul contrasto delle forze.